Ritorno al 2019

Non preoccupatevi, non stiamo parlando di un viaggio nel tempo, ma dei risultati del Global Exhibition Barometer di Ufi (The Global Association of the Exhibition Industry): per le fiere il 2023 sarà l’anno del ritorno ai livelli di attività pre-pandemia nella maggior parte del mondo. Il Barometer è uno dei più importanti indicatori sullo stato di salute del settore fieristico e sulle sfide da affrontare e coinvolge un numero significativo di operatori (a questa edizione del sondaggio hanno partecipato 351 aziende da 61 Paesi).

Il primo dato confortante riguarda il livello di attività nel 2023: nella seconda parte dell’anno il 90% delle aziende si aspetta un ritorno alla normalità, mentre i periodi di ridotta attività o inattività sembrano più legati al calendario (luglio, agosto e dicembre generalmente ospitano poche fiere) che al Covid. L’Italia è tra i Paesi con performance migliori della media (il 94% dichiara attività normale nel secondo semestre) mentre la Cina è ancora sotto la media (74%, ma va confrontato con il 29% della rilevazione di 6 mesi fa).

Il ritorno alla normalità si traduce in una crescita dei fatturati: secondo le previsioni nel 2023 si raggiungerà in media il 97% del fatturato registrato nel 2019 (era il 78% nel 2022), anche qui con differenze tra aree geografiche e Paesi: Centro e Sud America stimano di superare il fatturato generato pre-pandemia e l’Europa di arrivare allo stesso livello del 2019. Per l’Asia Pacifico invece si ipotizza un livello ancora sotto la media globale, con la Cina che si stima raggiungerà il 74% dei ricavi 2019.

Tra i fattori considerati più importanti le sfide di gestione interna sono citate dal 21% delle aziende (tra esse spiccano la gestione delle risorse umane e i cambiamenti al modello di business); l’impatto della digitalizzazione è citato dal 17% e all’interno di questa categoria sono particolarmente sentiti la necessità di rispondere ai bisogni di digitalizzazione dei clienti e lo sviluppo di nuovi prodotti digitali/ibridi.

Proprio la digitalizzazione è oggetto del focus di questa edizione del sondaggio: il 64% ha aggiunto prodotti/servizi digitali a fiere esistenti (ad esempio app, digital advertising, digital signage), il 55% ha digitalizzato i processi interni (era il 49% un anno fa) ma un numero minore di aziende ha sviluppato una strategia di trasformazione digitale per l’intera società (33%, anche se in crescita rispetto al 2022) o per le fiere (27%, in calo rispetto alla rilevazione dell’anno scorso).

Per la prima volta è stata introdotta una domanda sull’impatto dell’Intelligenza Artificiale e sull’attuale utilizzo: a livello globale le aree in cui ci si aspetta un maggiore impatto sono Vendite, Marketing, Customer Relation (62%), Ricerca e Sviluppo (58%), Realizzazione della fiera (45%). Si tratta delle aree in cui l’Intelligenza Artificiale è anche più usata, sebbene le percentuali di utilizzo siano ancora piuttosto basse e pari rispettivamente al 22%, 19%, 10%.

Potete trovare il report completo a questo link.

Il settore fieristico è in ripresa

Nel mese di giugno 2022 è stato condotto il 29° sondaggio del Global Barometer Ufi – The Global Association of the Exhibition Industry. La rilevazione si svolge 2 volte all’anno e in questa edizione hanno partecipato 366 player in 57 Paesi.

Nel corso del 2022 l’attività fieristica è gradualmente ripresa a livello mondiale, ad eccezione di alcune zone in Asia: la percentuale di aziende che dichiarano un livello di attività normale è passata dal 30% di gennaio al 68% di giugno, con prospettive positive anche per i mesi autunnali. Per contro la quota di chi registra “nessuna attività” nello stesso periodo è passato dal 29% all’8%.

La ripresa si traduce in un miglioramento del fatturato: a livello globale gli intervistati hanno dichiarato di raggiungere nel primo semestre del 2022 l’87% del fatturato generato nel 2019, mentre per tutto il 2022 prevedono di raggiungere il 73% del fatturato 2019. In Europa nel primo semestre del 2022 gli operatori hanno dichiarato di raggiungere il 96% del fatturato 2019, mentre per tutto l’anno stimano di arrivare all’87% del fatturato pre-pandemia.

Nella classifica dei fattori considerati più importanti le sfide di gestione interna sono al primo posto, citate dal 20% degli intervistati; al secondo posto, in salita di una posizione rispetto alla rilevazione di gennaio, si colloca l’impatto della digitalizzazione (citato dal 17% degli intervistati); la competizione con altri media è al terzo posto (15% degli intervistati). L’impatto del Covid passa dal 19% del sondaggio di febbraio all’11%, scendendo al sesto posto tra i fattori considerati.  

Tra i player fieristici si rafforza la fiducia nel face to face e perde terreno la componente virtuale o ibrida: l’87% crede che il Covid abbia confermato il valore degli eventi face to face (era il 78% un anno fa); il 31% si aspetta meno eventi internazionali e in generale meno partecipanti (in netto calo rispetto al 46% di un anno fa); infine il 61% pensa che ci sia una spinta verso eventi ibridi, con maggiori componenti digitali (era il 73% nella rilevazione di giugno 2021).

Come in ogni rilevazione di giugno è presente un focus sulla digitalizzazione: rispetto alla rilevazione del 2021 aumenta la percentuale di chi ha aggiunto servizi/prodotti digitali alle fiere esistenti (dal 58% al 65%); cresce in modo significativo la quota di chi ha sviluppato una strategia di trasformazione digitale per singoli prodotti (dal 22% al 32%) e aumenta anche la percentuale di chi ha lanciato prodotti digitali non direttamente legati a una fiera esistente (da 13% al 22%). Cala invece dal 28% al 24% la quota di chi ha sviluppato una strategia digitale per l’intera azienda.

Per leggere il report completo potete visitare il sito di Ufi.

Le fiere ibride dalla prospettiva di CES

Nelle fiere ibride è possibile integrare in modo efficace l’esperienza in presenza e quella online? Se organizzare una fiera digitale è un obiettivo sfidante, organizzarne una ibrida sembra ancora più complesso.

A raccontare sfide e opportunità delle soluzioni ibride è Sean Perkins, Vice President Marketing di Consumer Technology Association (CTA), l’associazione che organizza CES. Perkins racconta che organizzare una fiera ibrida comporta la gestione di due diversi flussi di lavoro, la necessità di due tipi di competenze, la presenza di nuove figure professionali e il bisogno di formare lo staff e ricalibrare l’assegnazione dei compiti.

Ma quali sono le opportunità? Come si sostanzia il mantra dell’engagement 365 giorni all’anno? Perkins offre alcuni spunti di riflessione. Innanzitutto dice che il 40% dei visitatori del CES 2021 (solo online) è tornato sul sito della fiera dopo la sua conclusione per vedere i contenuti disponibili. Una bella percentuale, che si può raggiungere solo se i contenuti a disposizione sono di qualità. Perkins racconta che in passato il timore di cannibalizzare l’evento aveva spinto CTA a non diffondere le sessioni, ma in seguito alla pandemia hanno capito che attraverso questa leva si potevano raggiungere più persone, grazie anche ad accordi con media partner (quindi generare anche maggiori flussi di ricavi?).

Infine Perkins si chiede se non sia possibile sviluppare nuovi eventi sulla base degli argomenti discussi durante CES. La fiera intesa come generatore di conoscenza a cascata, in grado di contribuire a far crescere il settore attraverso la produzione di nuovi contenuti ci piace molto e rappresenta un bell’esempio di Thought Leadership.

Qui potete trovare l’articolo.

Obiettivo zero emissioni

All’inizio di settembre è stata lanciata una nuova importante iniziativa dedicata alla sostenibilità nel settore delle fiere e degli eventi: Net Zero Carbon Events.

Nel novembre 2021 si svolgerà a Glasgow il COP26, il più importante appuntamento sui cambiamenti climatici organizzato dalle Nazioni Unite, durante il quale ai Paesi partecipanti verrà chiesto di presentare programmi di riduzione del 50% delle emissioni di gas effetto serra entro il 2030, così da rispettare l’Accordo di Parigi del 2015. I diversi settori stanno preparandosi per raggiungere questo obiettivo, con il fine ultimo di arrivare a zero emissioni nette entro il 2050.

L’iniziativa è promossa UFI e dalle altre associazioni aderenti al JMIC (Joint Industry Council), quali ICCA (International Congress and Convention Association) e AIPC (International Association of Convention Centres), oltre che da importanti player come Informa, RX (Reed Exhibitions), Messe Munchen, Emerald Expositions, Freeman, MCI.

Il progetto Net Zero Carbon Events vuole unire gli attori dell’industria fieristica (quartieri fieristici, organizzatori, espositori, fornitori di servizi) per:

  1. Comunicare con una voce sola l’impegno del settore per affrontare il cambiamento climatico
  2. Sviluppare metodologie comuni per misurare le emissioni di gas serra
  3. Costruire una roadmap di tutto il settore verso l’obiettivo zero emissioni nette entro il 2050 e la tappa intermedia del 2030, con supporto sui temi chiave
  4. Incentivare la collaborazione con fornitori e clienti per assicurare uniformità e approcci comuni
  5. Stabilire meccanismi comuni per la reportistica e la condivisione di best practice

E’ possibile avere più informazioni e aderire all’iniziativa visitando il sito.

A chi appartengono i dati?

Il 9 e 10 giugno si è svolta in versione digitale la Ufi European Conference: uno dei temi chiave è stato quello dell’offerta digitale, affrontato da diverse prospettive, tra cui quella della proprietà dei dati prodotti durante le fiere virtuali. Ma a chi appartengono questi dati?

Ne hanno parlato, durante una interessante panel discussion, i principali fornitori di servizi digitali per il settore delle fiere, Jo-Anne Kelleway (Info salons, gruppo Freeman), Tim Groot (Grip), Tanya Pinchuk (Expoplatform), Baptiste Boulard (Swapcard), Mark Brewster (Explori). Innanzitutto i dati sono di due tipi e sono relativi all’identità (nome, email, azienda, …) e ai comportamenti degli utenti (tempo di permanenza sulla piattaforma digitale, sessioni visitate, espositori contattati, visitatori contattati, …). I dati generati vengono utilizzati per “allenare” gli algoritmi di intelligenza artificiale alla base delle piattaforme al fine di migliorare l’engagement degli utenti. Vi sono approcci diversi da parte dei soggetti coinvolti nel panel alla gestione dei dati prodotti dalle fiere virtuali.

Expoplatform ha sottolineato che il controllo dei dati resta in capo all’organizzatore. Per Swapcard i dati sono di proprietà degli utenti (espositori e visitatori) e quindi la loro cancellazione avviene solo su richiesta degli utenti stessi; inoltre, i dati non sono gestiti in silos separati per ciascuna fiera e i comportamenti di un visitatore a più fiere sono utilizzati per “nutrire” gli algoritmi di tutti gli eventi della piattaforma, indipendentemente da chi sia il loro organizzatore. Questo approccio ha conseguenze importanti: è vero che più dati sono processati, migliore è il funzionamento dell’algoritmo e maggiore è l’engagement sulla piattaforma, ma è anche vero che se un organizzatore decide di abbandonare la piattaforma (perché non vuole più fare fiere virtuali o perché preferisce altre piattaforme) i dati dei suoi utenti non saranno cancellati da Swapcard, a meno che i singoli utenti non decidano di farlo o i dati non arrivino alla naturale scadenza imposta dal GDPR.

Dalla discussione è emerso un consiglio molto pratico: come organizzatori occorre leggere molto attentamente i contratti ed essere consapevoli di quello che accadrà ai dati una volta firmato l’accordo.

Durante un’altra panel discussion che ha visto la partecipazione anche di Adrian Allenby (Reed Exhibitions) e Stephan Forseilles (Easyfairs) è emerso che gli algoritmi per le fiere possono migliorare solo da una raccolta dati che non si limiti al digitale, ma da un mix di fisico e digitale, perché non sempre ciò che succede offline avviene anche offline (ad esempio il networking nello spazio digitale è penalizzato). Altra questione aperta riguarda il potenziale rischio di concorrenza da parte delle piattaforme digital, che stanno raccogliendo moltissimi dati sul settore fieristico e potrebbero trasformarsi in veri e propri organizzatori di fiere in futuro. Secondo i relatori il rischio di concorrenza potrebbe esserci, forse entro 2 anni, ma solo sull’offerta digitale, mentre l’organizzazione di fiere face to face richiede competenze diverse.

Va inoltre ricordato che queste piattaforme stanno raccogliendo ingenti risorse finanziarie da fondi di private equity, che investono perché credono nel modello di business delle piattaforme digitali, in teoria più efficienti delle fiere fisiche. Qualche esempio? Grip, strumento per il networking prima solo face to face e ora anche virtuale e ibrido, ha raccolto 13 milioni $; Hopin, piattaforma di eventi virtuali fondata 2 anni fa, ha appena chiuso un round di finanziamento da 400 milioni $ e ora vale 5,65 miliardi di dollari! NuOrder, marketplace B2B che ha collaborato con Informa nella realizzazione di fiere virtuali di moda, ha raccolto da poco 45 milioni $.

La sessione si è chiusa con una provocazione: cosa accadrebbe se Informa acquisisse una piattaforma digitale? Domanda plausibile visti i numerosi accordi in essere, da Swapcard a NuOrder.

Omnichannel nelle vendite B2B: la nuova normalità?

Secondo una recente indagine di McKinsey la multicanalità, ossia l’utilizzo di più strumenti di interazione, è diventata la nuova normalità anche nelle transazioni B2B, e non solo nelle relazioni B2C, con il consumatore finale. La ricerca condotta tra i decisori di acquisto aziendali evidenzia che il contatto con i fornitori avviene usando più canali: digital (ad esempio acquisti su e-commerce B2B), interazioni tradizionali (face to face) e interazioni a distanza (ad esempio videochiamate su piattaforme come Zoom, Teams, ecc).

Il digital rappresenta un terzo delle interazioni in tutte le fasi del processo di acquisto, anche nelle fasi di ricerca e comparazione dei prodotti e fornitori, dove anzi è cresciuto significativamente nel corso dei mesi. Si tratta di un cambiamento significativo e di un nuovo approccio che non si può non tenere in considerazione. Appare chiaro, però, che le interazioni che McKinsey definisce “tradizionali”, face to face, sono tornate a crescere a scapito delle interazioni a distanza: il progredire delle vaccinazioni a livello mondiale e il conseguente alleggerimento dei limiti che hanno contrassegnato le nostre vite nell’ultimo anno spingono ad un ritorno al face to face.

McKinsey concentra l’attenzione sulla progressione della multicanalità, sulla pluralità di strumenti di interazione ormai alla portata di tutti e sull’efficacia dell’approccio ibrido, ma quello che emerge con forza è la volontà di ritornare agli incontri di persona, accompagnata dalla crescita dell’e-commerce.

Questi risultati sono un’iniezione di fiducia e un monito per le fiere: le persone vogliono tornare a guardarsi in faccia, a incontrarsi, a interagire non solo con lo sguardo e attraverso lo schermo di un computer o di un cellulare, ma l’e-commerce è cresciuto e sembra sia qui per restare. L’approccio omnichannel è già realtà?   

Diario delle fiere nei primi mesi della pandemia

Capitolo 1

Sono passati 8 mesi da quel 21 febbraio 2020, quando per la prima volta si è parlato di Coronavirus in Italia. Dopo una lunga esperienza di lockdown e i primi timidi segnali di ripresa a settembre con la partenza delle fiere del settore moda, il nostro Paese oggi torna nell’incertezza a causa dell’aumento di casi di Covid-19.

Per noi tutti, espositori, organizzatori, visitatori e grande pubblico, è stata una grande emozione assistere all’inizio di Milano Unica a settembre e ritrovare le macchine utensili a BI-MU. Nonostante però il DPCM di lunedì scorso abbia confermato che le manifestazioni fieristiche siano sicure, c’è molta preoccupazione.

I clienti e gli organizzatori di fiere sono piuttosto convinti che il potere del face-to-face è insostituibile e appena la situazione tornerà alla normalità, ci sarà ancora più bisogno di eventi fisici. Inizia però a farsi strada la consapevolezza che ci vorrà del tempo per la ripresa e che la tecnologia avrà un ruolo sempre più importante. Quando torneremo, saremo diversi e il virtuale sarà parte dell’esperienza fieristica.

Da maggio un gruppo di studenti ed ex studenti di Accademia Fiera Milano, centro di formazione di Fondazione Fiera, è entrato a far parte dell’Exhibition Think Tank Club, piattaforma di innovazione fondata da Matthias Tesi Baur di MBB Consulting per unire professionisti ed esperti di tutto il mondo a discutere e ripensare il futuro delle fiere. Durante la sessione estiva, i gruppi di lavoro hanno individuato i migliori esempi di eventi ibridi e/o virtuali. Dalle ricerche è emerso che è ancora troppo presto per parlare di best practice nel mondo fieristico. I principali esempi vengono da altri settori, come Apple Worldwide Developers Conference, il festival di musica elettronica Tomorrowland o, per chi ama i supereroi, il DC FanDome.

APPLE WWDC: Per tutti gli appassionati di Apple, WWDC è dal 2007 un appuntamento immancabile. Si tratta di una conferenza annuale in cui gli ingegneri dell’azienda mostrano i nuovi prodotti e tecnologie agli sviluppatori. Il prezzo del biglietto si è sempre aggirato sui 1500 dollari ma questo non ha fermato le vendite: nel 2013 tutti i 5000 biglietti sono stati venduti nel giro di 2 minuti. Dall’anno successivo Apple ha quindi optato per il sistema delle lotterie. Nel 2020 l’evento si è tenuto per la prima volta online, gratuito e aperto a tutti. L’evento è comunque andato incontro alle aspettative grazie a degli elementi chiave: un sito user-friendly, video pre-registrati e poi trasmessi in diretta, forum per confrontarsi e meeting 1-2-1. Non solo, ogni giorno Apple ha fatto un recap, ha usato la gamification per dare dei “compiti” ai partecipanti con soluzioni condivise il giorno dopo. Il tutto condito da un sapiente uso dei social media, non solo da parte del brand ma anche di figure di spicco dell’azienda.

TOMORROWLAND: Festival della musica elettronica che si svolge in Belgio dal 2005, quest’anno si è spostato in rete con “Tomorrowland – Around The World”. Tra il 25 e il 26 luglio oltre un milione di persone è approdato in una vera e propria isola virtuale. Oltre 60 artisti (pre-registrati) si sono esibiti su 8 palchi, ognuno più vivace e spettacolare dell’altro. Anche per chi non è un fan del genere musicale, questo festival è riuscito a ricreare un a vera e propria esperienza virtuale diversa dalle altre.

DC FANDOME: Una convention virtuale della durata di 8 ore organizzata da DC Comics e Warner Bros per annunciare i prossimi film, telefilm, giochi e fumetti. La chiave di successo dell’evento è stata la creazione di un format diverso dalle solite chiamate di Zoom: sessioni brevi intervallate da sketch divertenti. I video erano probabilmente pre-registrati su un palco con tanto di green screen, senza i problemi tecnici e la bassa qualità di una diretta.

Nel mondo fieristico cominciamo a vedere i primi esperimenti digitali. Già a fine maggio, Informa aveva annunciato la collaborazione con la piattaforma e-commerce NUOrder per ospitare la “più grande fiera virtuale del settore moda”. Un altro esempio è quello di Miart, la cui collaborazione con Artshell ha prodotto con successo la prima edizione completamente digitale della fiera. Pitti Immagine ha lanciato a partire da luglio Pitti Connect, piattaforma digitale disegnata dall’agenzia The Big Now e sviluppata grazie alla collaborazione con la società Openmind. Ad ottobre è tornata la seconda edizione di WeCosmoprof, la versione digitale di Cosmoprof Worldwide show, un vero e proprio ecosistema di matching tra aziende e compratori nato dalla partnership con Alibaba.com, Born e Needl. La prossima edizione del Consumer Electronics Show sarà interamente digitale e l’associazione CTA ha scelto Microsoft come digital partner.

Per adesso le fiere stanno soprattutto investendo sull’implementazione di piattaforme virtuali, principalmente in collaborazione con grandi partner digitali, ed è ancora presto per parlare di vere e proprie fiere ibride o blended. Un esempio di questo tipo viene da Hopwine, fiera del vino francese che unisce all’appuntamento virtuale la spedizione di campioncini di vino per la degustazione.

Non esiste un modo giusto o sbagliato di creare eventi digitali perché in questo momento siamo tutti delle startup che stanno sperimentando. Con ogni probabilità il modello di business delle fiere cambierà e quando il virus non sarà più un problema le fiere non potranno fare a meno della parte virtuale, che diventerà uno strumento di marketing.

Quali sono però le lezioni che dobbiamo tenere a mente prima di avventurarci nel multiverso?

FOCUS: chi frequenta le fiere ha due obiettivi principali, vedere cose nuove e fare networking. Quando creiamo un evento digitale non dobbiamo perdere di vista questi due punti per poter creare delle piattaforme semplici. Creare un prodotto che tutti riescano ad usare e che sia ricco di contenuti ci permetterà di ampliare ulteriormente il nostro target, iniziando un processo di democratizzazione delle fiere, finalmente raggiungibili per chi è lontano o ha problemi di budget.

INTERAZIONE: per costruire un evento ibrido sarà essenziale riprendere in mano il customer journey di visitatori ed espositori. Sarà ancora più importante raccogliere dati e capire quali siano i comportamenti degli utenti e quali siano i touch point su cui lavorare. Soprattutto, l’errore che bisognerà evitare è quello di ricreare le logiche del mondo fisico in quello virtuale. Un esempio da tenere in mente è quello del retail, per cui le due esperienze di acquisto online e offline sono completamente diverse ma sempre più integrate in un flusso continuo ed unico.

ESPERIENZA: come saranno le fiere del futuro? Con ogni probabilità saranno eventi focalizzati con esperienze più verticali. Il valore di un evento non si baserà sulle folle o sui metri quadrati venduti ma sul numero di lead creati. Il matchmaking e la creazione di contenuti saranno al centro dell’esperienza fieristica.

RELAZIONE: il know how delle fiere nel creare momenti di networking ha una storia centenaria ma la creazione di una piattaforma digitale di successo è garantita dalla collaborazione con i giusti partner. Abbiamo visto come i principali player del mondo fieristico si stanno muovendo con partner digitali e del retail per unire le forze e creare un prodotto che sia piacevole ed efficace.

EDUCAZIONE: il mondo è cambiato moltissimo nel giro di qualche mese. In poco tempo abbiamo imparato a fare riunioni più brevi online, a indossare sempre la mascherina e ad apprezzare lo smart working. Comportamenti che nel 2019 non erano nel nostro radar ora fanno parte della nostra quotidianità. Abbiamo però ancora più bisogno di educazione. Dovremo educare gli speaker ad essere efficaci online, dovremo educare i visitatori e gli espositori ad interagire in maniera diversa con le fiere. Soprattutto dovremo educare noi stessi, gli organizzatori, a pensare in maniera diversa, a rivalutare il nostro modello di business e trovare nuovi modi di creare valore.

Questo momento storico è complicato per l’economia globale, e per le fiere e gli eventi in particolare. Però ogni momento di crisi è anche opportunità. Di creare, cambiare e soprattutto di sbagliare.

Con le giuste collaborazioni e con lo spirito di una start up possiamo creare qualcosa di nuovo e più bello di prima.

Gli eventi nel multiverso

La più grande crisi che il mondo abbia affrontato dalla Seconda Guerra Mondiale e il più grande disastro economico dalla Depressione degli anni ’30.

È con queste parole che il Financial Times definisce il periodo che stiamo per affrontare. Mentre il mondo sta ancora affrontando la pandemia, gli economisti si chiedono come sarà possibile una ripresa, come uscire dal “Grande Shutdown”.

L’Economist parla di “economia del 90%”: le nazioni asiatiche che hanno sotto controllo il virus (Cina, Corea del Sud) sembra che avranno una produzione nazionale ridotta al 90% del suo potenziale, a causa delle regole di social distancing. Tre sono le caratteristiche dell’economia del 90%: è fragile (sarà difficile pianificare), meno innovativa (la perdita di occasioni di comunicazione face-to-face porterà a meno idee) e più ingiusta (aumenta il divario tra ricchi e persone con un reddito inferiore).

Il mondo delle fiere e degli eventi guarda con preoccupazione ad un futuro poco stabile e incerto, consapevole del fatto che per riuscire a tornare alla normalità c’è bisogno che prima ripartano settori come quello del turismo e dei trasporti e che si garantiscano condizioni di sicurezza per evitare possibili contagi.

In questo momento di crisi globale, ci sono però dei settori che stanno avendo successo. Cloud computing, social network, software aziendali, streaming, logistica e delivery hanno registrato dei volumi senza precedenti. Nel giro di 3 mesi i partecipanti attivi di Zoom sono passati da 10 milioni al giorno a 300 milioni (Microsoft, Google e Cisco seguono molto da vicino); Amazon, già leader del settore, sta diventando una public utility; e durante il lockdown i Gen Z di tutto il mondo hanno coinvolto i loro genitori per fare video su Tik Tok (l’app cinese ha superato i 2 miliardi di download ad aprile), tanto da attirare l’attenzione di Trump. Mentre il mondo dell’entertainment è in ginocchio a causa di cinema chiusi, set bloccati e parchi di divertimento che hanno dovuto licenziare il personale, lo streaming e i videogiochi stanno vivendo il loro periodo d’oro. Disney plus, il servizio di video streaming della Disney lanciato a novembre 2019, ha superato i 60,5 milioni di iscritti, mentre Netflix ha aggiunto 26 milioni di abbonati solo nel primo semestre del 2020.

Le best practice più interessanti vengono però dal mondo dei videogiochi. Nintendo pubblica la serie Animal Crossing dal 2001, ma sebbene questi videogiochi abbiano sempre avuto un discreto successo soprattutto in Asia, nessuno si sarebbe aspettato l’ossessione che tutti avrebbero avuto per Animal Crossing New Horizons, gioco per la console Switch uscito il 20 marzo, nel pieno della pandemia. Cerimonie di laurea, matrimoni, appuntamenti virtuali e addirittura un talk-show: non ci sono limiti a quello che gli utenti hanno fatto all’interno del gioco. Da semplice videogioco di vita simulata dai disegni semplici e con musiche rilassanti, Animal Crossing è diventato un vero e proprio social network dei tempi del coronavirus.

Fortnite, gioco free-to-play battle royale, ha fatto parlare di sé ben prima della pandemia, sia grazie alla popolarità che ha tra i ragazzi under 25, sia per le sempre più numerose operazioni di marketing all’interno del videogioco. Il concerto virtuale del dj Marshmello di febbraio 2019 aveva battuto il record di partecipanti ad un concerto, così come aveva sollevato clamore la proiezione del trailer di Star Wars “L’ascesa di Skywalker” in esclusiva all’interno del gioco. Ai tempi del coronavirus Fortnite è tornato sui giornali per aver ospitato per la prima volta un tour virtuale del rapper Travis Scott. Più di 12 milioni di giocatori hanno partecipato al primo concerto, quasi 28 milioni giocatori in totale per tutte e 5 le date del tour (visualizzato per un totale di 45,8 milioni di volte).

Anche i personaggi famosi sono sempre più coinvolti nel mondo dei videogiochi. Gigi Hadid e Serena Williams hanno partecipato ad un torneo di tennis di Mario Tennis Aces trasmesso da Facebook Gaming. Il tutto per beneficenza.

Mentre i consumatori entrano in un mondo virtuale, cosa succede agli eventi? Molti vengono posticipati, alcuni annullati, altri invece decidono di sperimentare il mondo digitale. Burning Man, festival che si tiene ogni anno nel deserto del Nevada, ha deciso di entrare nel multiverso. Il mondo dei videogiochi non ha perso tempo a riprendersi dallo shock della cancellazione della fiera E3 e ha creato un festival digitale dell’industria del gaming con seminari e news per gli addetti del settore. Infine, tra il 25 e il 26 luglio più di un milione di persone sono sbarcate sull’isola digitale di Tomorrowland, il festival di musica dance elettronica che normalmente si tiene in Belgio e che invece ha deciso di diventare virtuale nel 2020 senza rinunciare ai grandi nomi della musica e diventando una best practice di evento digitale.

 

Cosa possono imparare le fiere da tutto ciò? È ancora presto per parlare di best practice fieristiche ma molti si stanno spostando verso soluzioni digitali. È infatti di settimana scorsa la notizia che l’edizione 2021 del CES sarà totalmente digitale e virtuale. Anche in Italia si stanno sviluppando piattaforme digitali e showroom virtuali. In un momento di crisi globale queste sperimentazioni sono molto importanti per capire che direzione prenderà il mondo. L’esperienza del face-to-face non si può replicare digitalmente però il mondo virtuale non deve essere messo da parte senza essere capito e studiato. In futuro potrebbe diventare uno strumento utile per amplificare l’esperienza fieristica, raggiungendo chi non può lasciare il proprio paese oppure chi non potrà permettersi di esporre in fiera. Potrebbe trasformare le fiere in vere e proprie piattaforme aperte 365 giorni all’anno, migliorando la customer journey di visitatori ed espositori.

Creare valore con la sostenibilità

L’ambiente e la sostenibilità sono al centro dell’attenzione mediatica: le battaglie di Greta Thunberg e i movimenti degli studenti che chiedono ai governi misure concrete per contrastare gli effetti del cambiamento climatico hanno acceso i riflettori sui rischi connessi alle trasformazioni in atto e sugli effetti per il nostro pianeta.

Anche le abitudini e i comportamenti di acquisto si stanno modificando, in particolare tra i millenials: il 66% a livello globale è disposto a spendere cifre maggiori nei brand che perseguono una politica di sostenibilità. In risposta a questi nuovi bisogni molti brand e distributori si stanno adeguando, spingendo l’acceleratore sul posizionamento green.

Cambiano anche i comportamenti nella fruizione di fiere ed eventi? Si, tanto che il 78% dei visitatori pensa che sia importante che una fiera dimostri una forte attenzione alla sostenibilità, che in questo settore significa costruire una fiera o un evento in modo da minimizzare i potenziali impatti negativi e generare un beneficio per la community coinvolta. Da molti anni Ufi, l’associazione mondiale del settore fieristico, ha creato un tavolo di lavoro sulla sostenibilità: tra le iniziative portate avanti c’è anche un Sustainable Development Award, che dal 2012 premia i progetti che generano risultati concreti dal punto di vista della sostenibilità ambientale, sociale ed economica, che sono i tre pilastri di una strategia sostenibile.

Nel prossimo Exhibitionist ospitiamo un protagonista di eccezione: Guy Bigwood. Negli ultimi 15 anni Guy Bigwood ha collaborato con città, istituzioni e il mondo degli eventi e dell’ospitalità per aiutarli a sviluppare e accelerare i programmi di sostenibilità. Attualmente è Direttore Generale di Global Destinations Sustainability Index, una multistakeholder partnership che ha come obiettivo quello di rendere più sostenibili le destinazioni del turismo d’affari. Ha collaborato con le Nazioni Unite ed è stato Direttore Sostenibilità di MCI, la più grande agenzia al mondo di association management, comunicazione e organizzazione eventi.

Il suo intervento si intitola Creare valore con la sostenibilità: come marchi, eventi e città si stanno trasformando. Cosa ci porteremo a casa dalla sessione?

  1. Comprenderemo le principali strategie sviluppate nel mondo degli eventi e delle fiere e quali effetti avranno in futuro
  2. Capiremo come le città stanno usando la sostenibilità per differenziarsi e aumentare l’attrattività
  3. Scopriremo come gli eventi sostenibili guidano l’innovazione, migliorano la customer experience e generano ricadute positive a lungo termine sul territorio

Ci vediamo martedì 1 ottobre alle 19, al Centro Svizzero, in via Palestro 2 a Milano. Per partecipare cliccate qui

 

Letture per le vacanze

Chi di voi ha già la valigia pronta?

Se siete in cerca di ispirazione per le vostre letture estive, ecco un paio di consigli utili per fieristi e organizzatori di eventi:

  1. “The Art of Gathering – How We Meet And Why It Matters” di Priya Parker.

Consigliato da Chris Anderson, il curatore dei TED talk, questo libro vi aprirà nuovi orizzonti sull’arte di incontrarsi. Laureata in Organizational design al Massachusetts Institute of Technology, Priya Parker è la fondatrice di Thrive Labs, azienda di consulenza che aiuta a definire la vision e la cultura organizzativa di start up, ONG e grosse aziende. Priya sostiene che quando organizziamo eventi troppo spesso ci facciamo influenzare dalla routine, perdendo di vista il motivo per cui ci incontriamo. L’autrice ci fa scoprire il suo approccio incentrato sulle persone e sulla definizione di strategie che rendono qualsiasi incontro memorabile.

  1. “Creativity, Inc.: Overcoming the Unseen Forces That Stand in the Way of True Inspiration” di Ed Catmull.

Direttamente dalla penna del co-fondatore e presidente della Pixar, un libro sulla creatività. Fin da quando era un giovane studente, Ed Catmull aveva un sogno: realizzare il primo film animato al computer al mondo. Dopo le sue prime esperienze informatiche con i pionieri del pc e l’incontro con George Lucas, nel 1986 fondò la Pixar assieme a John Lasseter e Steve Jobs. In questo libro racconta la nascita e la crescita di una piccola azienda che in poco tempo è riuscita a diventare un riferimento nell’industria cinematografica. Ed Catmull non nasconde nulla, né i grandi successi né i clamorosi flop, e descrive come si sviluppa un processo creativo efficace tramite una continua riorganizzazione dei team di lavoro.